Se vivi in provincia di Latina e hai voglia di dedicare poco tempo allo spostamento in auto e molto alla montagna,
ci sono solo due gruppi (tolti i più piccoli Simbruini e Lepini) che possono fare al caso, gli Ernici e il Velino.
Sui primi o intorno ai primi ci abbiamo dedicato le ultime escursioni, era quindi tempo di tornare sulle brecciose
montagne del Velino da cui mancavamo ormai dallo scorso autunno.
Cerco sempre di studiare un percorso che totalmente o in parte ci possa far percorrere sentieri mai battuti, è sempre
più difficile farlo sulle montagne più belle e per questo l’ideale sarebbe allontanarcisi ma è un esercizio quasi
impossibile da fare, proprio perché più belle c’è sempre un motivo per tornarci e anche per ritornarci.
Avendo scelto come palcoscenico della prossima escursione il gruppo del Velino, due erano le idee che mi sono venute
in mente, non sono mai salito al monte Cafornia da Sud, per la lunga dorsale che sale in vetta e non sono mai salito
nemmeno dai canali centrali direttamente alla vetta del Velino, ma visto il periodo e dal momento che il sole sarà a
picco per la gran parte della giornata, ho dovuto ovviamente scartare questa seconda ipotesi. Ho riproposto quindi a
Marina un sentiero che avevamo percorso qualche anno fa e che lei ricordava appena, da Massa D’Albe col sentiero 7
salimmo alla Cimata di Fossa Cavalli; stavolta, una volta raggiunta la dorsale del Cafornia ci saremmo staccati dal
sentiero principale e avremmo seguito le tracce del 7A; per rientrare dalla vetta l’ipotesi era quella di compiere un
anello sulla Cimata di Fossa Cavalli e ricongiungerci poi col sentiero di salita. Mi sono reso conto solo ora che nel
progetto non ho preso in considerazione il dislivello e di aver pensato solo ai chilometri da percorrere, anche Marina
non ci si è soffermata quando gli ho posto la carta davanti, anzi si è entusiasmata all’idea. La giornata migliore per
il meteo era Domenica. Anche se non fare i conti col dislivello quando si parla di Velino è sempre una brutta scelta,
monte Cafornia è stato.
Anticipiamo la partenza da casa per cercare di anticipare il caldo, in verità servirà solo per avere la giornata più
lunga. Alle 7,40 siamo già con gli zaini in spalla, piazzale oltre il paese di Massa D’Albe dopo aver superato la chiesetta
in testa al paese, quota 880 mt. Dal piazzale parte una brecciata un po’ sgarrupata, il Velino-Cafornia di fronte, evidente
è la linea che sale fin sulla grande sella tra il Cafornia stesso e il monte La Difensola. La strada scorre in costante
salita tra qualche villa e molti recinti, pascoli, terreni agricoli, i campanacci delle mucche ci accompagnano, il sole
è ancora basso e i colori tutto intorno sono caldi e sfumati.
Via via che ci alziamo si scoprono i tetti del paese e la valle intera, il verde che predomina nel paesaggio è intenso e
vivace, col Cafornia ed il Velino costantemente davanti ho anche il tempo di studiarmi i canalini e di sognarli, ho
goduto nel poter fotografare delle placide mucche lungo la strada (gli occhi delle mucche in certe inquadrature sono
dei manifesti al languore), le incantevoli fioriture dell’Erba di San Giovanni, tanto banale la pianta quanto elegante
il fiore, ed uno splendido esemplare di soffione intatto ed enorme di Barba di Becco. Tra una sosta e l’altra, senza
fretta, quasi passeggiando ci alziamo un po’ di quota, quando la strada comincia a girare qualche tornante si è in vista
della sella e della fonte di Canale, quota 1150 circa, sotto un enorme pioppo la grande vasca della fontana rumoreggia
delicatamente e dal momento che è stracolma d’acqua contribuisce anche ad allagare una bella porzione di terreno reso
ormai melmoso, quaranta minuti per coprire il tratto di strada, sono le 8,20.
Il sentiero continua a salire a sinistra della fonte seguendo il confine di un bosco di pini, noi continuiamo diritti
sulla carrareccia fino a salire sopra la grande spianata della sella dove ci affacciamo sulla piana di Forme e sul Peschio
Rovicino, affaccio tra l’altro leggermente controluce e splendido viste le pareti scure del Peschio e dell’imbocco della
valle Majelama. Dalla sella si aggira il bosco sopra la fonte, si ritorna verso Nord, si passa accanto ad una sbarra chiusa
e ormai inutile e si raggiunge una palina dei sentieri piantata in bella vista nel mezzo dell’ampia radura. Autentico
incrocio di sentieri alle pendici del Cafornia indica, continuando diritti alla base della montagna, le direttissime del
Velino, mentre sulla destra invia ad un sentiero più agile per la vetta del Cafornia stesso, il n°7 che più avanti diventerà
anche 7A, Prendiamo a destra, aggiriamo ancora un secondo bosco di pini, lo superiamo verso monte, le tracce di calpestio
sono evidenti come anche i segnavia sulle sparute rocce a terra; sopra il bosco, ormai alle pendici del monte, il sentiero
riprende ad essere marcato, supera della bassa boscaglia ed è contornato da fioriture multicolori, inizio a dilungarmi con
le foto mentre Marina con suo passo continua imperterrita. Immaginavo e confidavo che sarebbe stata una giornata favorevole
alla fotografia per via delle famose e diffuse fioriture, il Velino regala in questa stagione un’orgia di colori e di fiori
diversi, mi sono portato tutto, reflex, due obiettivi, anche la compatta di scorta, mi faccio prendere e mi attardo così che
ogni tanto sono costretto a rincorrere Marina mezzo chilometro più avanti. Superata la boscaglia il sentiero inizia ad inerpicarsi,
qualche tornante, qualche traverso, ci si alza lentamente sulla valle, il tetto di Casale Da Monte, il bel rifugio in pietra
posto quasi all’imbocco della Majelama è costantemente sulla nostra verticale laggiù in basso, a giudicare dalle auto parcheggiate
tutto intorno deve aver ripreso l’attività.
Quando si traversa verso Sud le scure e scanalate pareti delle Coste della Sentina incombono prepotenti e ripide, impossibile non
ritornare ai momenti di una vecchia escursione in cui imboccata la valle Majelama ci incombevano verticali sulla testa. Inutile
dire che il sentiero sale assolato e che le fioriture più ci si alza più sono intense e varie, ho un gran da fare, penso già
all’opera di catalogazione e al tempo che mi impegnerà tante sono le specie e gli scatti che archivio. Più si sale di quota più
si fa teso anche un vento fresco che arriva da Est, quando siamo al bivio dei sentieri 7 e 7A, esattamente sulla dorsale della
Costa Cafornia a quota 1670 mt, a 2,30 ore dalla partenza, le folate si fanno raffiche e anche piuttosto freddine; si scorge una
parte della cresta che scende dalla Cimata di Fossa Cavalli, la vetta è coperta dalla dorsale del Cafornia, e tutto l’immensiero e
così facendo avanziamo nemmeno troppo lenti. Quel vento che ci sembrava freddo è invece una manna mandata da Dio, ci permette di
tenere il passo senzao catino
erboso che da lassù scende verso valle. Fissiamo ammutoliti l’enorme dorsale erbosa che sale verso il Cafornia, le dimensioni si
perdono è semplicemente immensa, senza riferimenti se non la cima pietrosa della montagna che per un lungo periodo sembrerà immutabile
e non avvicinarsi. Per fortuna non ci facciamo domande, ci rinforziamo l’abbigliamento per resistere alle folate ormai fredde del
vento ed iniziamo a salire, seguiamo la traccia che a momenti si perde nel folto del prato, scrutiamo in alto alcune bandierine sulle
poche rocce affioranti ma decidiamo di proseguire basandoci sulle nostre traiettorie, ogni tanto intercettiamo di nuovo il sent
affanno e di continuare senza sentire troppo lo sforzo monotono e continuo. Un’ora ci impieghiamo ad arrivare all’omino di quota
2050 mt posto ai piedi della piramide sommitale, proprio davanti al magnifico anfiteatro roccioso formato dai ghiaioni del Cafornia
e dalla dorsale di Cimata di Fossa Cavalli; i ghiaioni degradano, restituendo immagini potenti, dentro il grande catino, prima
confondendosi con dei piccoli nevai dove stazionano pigri alcuni cavalli e poi perdendosi verso i pratoni verdissimi. La piramide
fino alla vetta si fa conquistare in un’altra ora di lenta salita, sempre erta tanto da troncare fiato e gambe sotto la cresta sommitale
in alcuni tratti è anche molto ripida, non è comunque mai esposta ed è sempre sicura. Tratti di sfasciumi, tratti di sentiero agile
e battuto, ripidi tornanti, panorami che si aprono fino agli Ernici e al Viglio, oltre ovviamente sull’intera piana di Avezzano ad
Ovest; lentamente raggiungiamo l’altezza della dorsale della Cimata che ad ogni passo sulla nostra destra cambia profilo. L’ebrezza
quando sali una grande montagna, quando sai di aver coperto un dislivello notevole è sempre forte, è sempre bella da vivere, quando
ti sale l’affanno e le gambe si stancano ma ti accorgi che sei vicino alla meta è come se una nuova energia ritornasse a scorrere,
è stato bello vederlo sul viso di Marina quando piegata dalla salita ha visto ancora lontana ma non più altissima sopra di noi la
sagoma della madonnina e della croce di vetta. Lentamente la salita si attenua, ad Ovest, roccioni e canaloni scendono ripidi verso
valle mentre il sentiero sbuca sull’ondulata cresta che tra leggeri saliscendi e col Velino in vista conduce in vetta. Sono le 12.15
quando tocchiamo la croce, Poco più di quattro ore per fare il salto dei 1550 mt, non male, e pensare che pensavamo di essere andati
eccessivamente lenti. Faccio leggere sul GPS il dislivello salito a Marina, così senza commenti e ulteriori parole, forse non crede a
ciò che legge, sicuramente non si aspettava questo dislivello, invece che abbattersi si fa prendere dalla leggerezza del momento, ne
ha ben ragione, e dopo pochi minuti mi propone quello che prima aveva messo in dubbio, la domanda è sibillina e mi metto a ridere: ma
per la seconda montagna, ovviamente il nome non se lo ricorda, quanto dislivello dobbiamo ancora superare? Gli rispondo meno di cento
metri, è sono questione di gamba e di camminare ma nemmeno ce ne accorgeremo tanto il percorso è aereo e affascinante.
Dai gustiamoci la vetta e mangiamo qualcosa, poi vediamo, risponde, ed ha praticamente detto che non vede l’ora di riprendere!!! Ci
mettiamo un po’ sottovento, lato Ovest, sotto abbiamo la piana di Avezzano, a sinistra la bianca piramide del Velino popolatissima come
sempre in vetta, oltre la piana le vette dei Simbruini, Tarino e Cotento, dei Cantari col Viglio e degli ernici col Ginepro, il Passeggio
ed il Deta in bella sequenza; da qui è molto evidente come di fatto sia praticamente un’unica lunga dorsale.
Siamo in sei in vetta, ognuno nella sua bolla di intimità con la montagna, silenziosi, rispettosi, è stato un piacere condividerla con
loro anche se non ci siamo conosciuti, era come se un filo sottile ci unisse.
Rimaniamo una ventina di minuti seduti a goderci questo microscopico e unico punto dell’universo, qualche minuto lo dedico ad alcune
irrinunciabili panoramiche e ripartiamo scendendo verso Est, l’ampia sella è poco sotto, raggiungiamo l’omino crocevia di diversi sentieri
e prendiamo a destra, dove il sentiero n°7 scende nel ghiaione dentro la valle, lo abbandoniamo subito e continuiamo di traverso a sinistra
per un breve tratto sul sentiero n°1, fino alla successiva sella dove prendiamo a destra per la sottile cresta che porta alla Cimata di Fossa
Cavalli. Facile, aerea, mai esposta se non in brevissimi tratti, sempre sicura, il sentiero taglia le diverse vette che formano la Cimata
aggirandole, scorre veloce e molto panoramico, ero certo che avrebbe entusiasmato Marina, così è stato, A tratti di qua e di là della cresta,
i panorami verso Est arrivano dai Sibillini al Gran Sasso fino al Camicia ed ovviamente ai vicini Magnola e Sirente, ad Ovest la conca verde
apre l’orizzonte verso la geometrica piana di Avezzano, il Cafornia sembra ormai lontano e alto. Aggirate le poche vette che formano la Cimata
il sentiero si tiene definitivamente poco sotto la cresta ad Ovest, degrada lentamente e costantemente in una selva di fioriture multicolore
fino a raggiungere i prati, puntiamo nel centro della piana la piccola sella tra quei due “dossi” quasi sull’orizzonte, da lì scenderemo
per raccordarci col sentiero n°7 dell’andata. Quel catino erboso, visto dall’alto, sembrava limitato, contenuto, da dentro è enorme, siamo
piccoli in confronto alla vastità del territorio e alle alte creste che formano una sorta di circolo dominato da ghiaioni e rocce; tra l’erba
alta non c’è una traccia ben definita, intercettiamo delle bandierine sulle dei roccioni sporgenti e anche se non avevamo bisogno di conferma
sapevamo di essere nella direzione giusta. Raggiunta la sella tra quei due “dossi” scendiamo agevolmente nella piccola conca sottostante,
quelli che erano dossi, visti da sotto, diventano dei salti rocciosi molto evidenti, in uno di questi speroni, ben visibili, ci sono due
piccole grotte naturali, due cavità carsiche di poca importanza se non perché tra leggenda e storia si dice siano state usate come ricovero
eremitico da San Benedetto, e in tempi più recenti, per esigenze diverse e di sopravvivenza da fuggiaschi del vicino campo di concentramento
di Avezzano durante la seconda guerra mondiale.
Sotto questi salti rocciosi una piccola piana, quasi un conca va a formare lo stretto vallone Bieltello che scende molto stretto e selvaggio
e parallelo alla Majelama fino a valle; con Luca, sbagliando percorso, lo usammo per scendere in una delle nostre scorribande di qualche anno
fa, c’era ancora la neve allora e lo ricordo come una via di fuga verso il basso avventurosa e difficile tra svariati salti e pareti ripide,
ovviamente privo di sentiero. A destra dell’imbocco del vallone, nei pressi di grosse pietre poste nel mezzo della conca varie tracce risalgono,
qualcuna leggermente altre decisamente, la costa del Cafornia, senza salire troppo e seguendo le bandierine si traversa per una decina di
minuti fino a raggiungere l’incrocio dei sentieri 7 e 7A. Lungo il traverso è bello il colpo d’occhio sull’incassato vallone Bieltello e
sulla piana sottostante. Sono le 14.00 quando arriviamo all’incrocio dei sentieri, chiuso l’anello non rimane che ripercorrere a ritroso
la traccia che avevamo salito la mattina. Nel frattempo il cielo si era un coperto da una densa nuvolaglia, anche se con luce diversa
saldo i conto con alcuni fiori e alcuni soggetti che avevo tralasciato la mattina; la discesa è veloce, nonostante i chilometri ed il
dislivello le gambe sono ancora buone. Quando raggiungiamo il primo bosco di pini è quasi fatta, il dislivello si attenua le gambe vanno
veloci, scorriamo accanto al secondo piccolo bosco sempre di pini per sbucare accanto alla fonte di Canale che sono le 14.50, non rimaneva
che la strada tra noi e la macchina, mezz’ora di carrareccia, ora poco interessante e che a giochi fatti è risultato ovviamente il momento
meno interessante della giornata.
Chiudiamo l’escursione alle 15.20, dopo 7 ore e mezza di cammino e dopo aver superato 1649 mt di dislivello, nemmeno troppo stanchi, di
certo soddisfatti per aver fatto qualcosa che se ci avessimo pensato un po’ di più non avremmo nemmeno iniziato. Sono già con la testa
alle tante foto dei fiori che mi sto portando a casa, vorrei dare un nome a tutti, vorrei costruire una sorta di archivio personale,
una vecchia fissa che tutte le estati ritorna fuori, mi sa che il Cafornia e la Cimata con tutti i loro stupefacenti ambienti rimarranno con me a lungo.